“SI AMI CHI PUÒ” Il nuovo romanzo di Filippo Roma

“Scrivere ha su di me un effetto catartico, mi aiuta a liberarmi dalle angosce della vita”

Il libro narra le vicende di una madre, Anita, e di suo figlio Lorenzo. L’autore ci accompagna nell’ultimo viaggio insieme dei due, infatti Anita ha scoperto di avere un male incurabile e vuole recuperare il tempo perduto, ma su di lei incombe un segreto che ha nascosto per anni e che deve confessare a Lorenzo. Lui fatica a ritrovare confidenza con la madre, ma non sa che lei ha scoperto il suo, di segreto.

Com’è nata l’idea di questo romanzo?

 In realtà avevo in mente da tempo la storia di una madre e un figlio che si ritrovano, per mezzo di un viaggio assieme, dopo tante incomprensioni.  Volevo che, nel corso del viaggio, l’uno salvasse l’altro dai propri errori. Ma soprattutto desideravo che ciò avvenisse tramite la confessione dei rispettivi segreti, che da tempo avevano contaminato il loro rapporto. Mi piaceva l’idea che si perdonassero l’un l’altra, trasformati dal viaggio fatto assieme.

La struttura narrativa del romanzo è molto particolare

È vero. Mentre lo scrivevo notavo che questo libro si stava costruendo molto per immagini, è parecchio cinematografico. La narrazione si alterna tra i due protagonisti con un via vai di flash-back, che mi ha permesso di delineare meglio il loro percorso. La storia di uno non esiste senza quella dell’altro.

Per la stesura del volume ha preso ispirazione da sue esperienze personali?

C’è un vago riferimento alla figura di mia madre nel personaggio di Anita, ma è piuttosto rarefatto. La maggior parte di quello che accade nel libro è frutto della mia immaginazione.

Uno dei temi più importanti trattati nel racconto è la perdita di un caro. Come si affronta un argomento del genere?

Non è stato facile. Quando si scrive una storia molto dolorosa è inevitabile la tentazione di immedesimarsi, la morte di un proprio caro è qualcosa che tocca tutti. In alcuni momenti ho avuto difficoltà nella stesura di certe parti, mi ricordavano cose del mio vissuto. Non è stato semplice conviverci, però paradossalmente scriverne ha avuto su di me un effetto catartico. 

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Il libro si sofferma molto anche sull’importanza del perdono. Che tipo di rapporto ha con il perdono considerata anche la sua professione?

È un rapporto complesso, visto anche ciò che vivo ogni giorno. Sono abituato a vedere e sentire cose che non è facile perdonare, come inviato delle Iene racconto spesso storie pesanti. Scrivere mi ha aiutato molto sotto questo aspetto, soprattutto a liberarmi di queste angosce della vita. Io per mia natura sono una persona molto incline a perdonare, e ho altrettanto bisogno di essere perdonato: credo che questa storia possa tranquillamente essere il racconto, almeno in parte, della vita di ognuno di noi”. 

Ha in mente nuovi progetti che seguano questo romanzo?

Come è noto il mio lavoro è quello di inviato televisivo, scrivere per me è un’attività collaterale. Mi fa stare bene, è una mia passione. Per ora mi concentrerò sul lavoro che faccio, ma qualche idea per una nuova opera c’è. Vedremo…

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