Con le sue radici profonde nel mondo della moda, Giorgio Armani si fa promotore di nuovi cambiamenti.
La pandemia ha messo in discussione ogni singolo aspetto della nostra vita. Ogni foglia caduta, è caduta da un albero radicato in terra con radici profonde, ma su un suolo diverso. Perché la terra sulla qualestiamo appoggiando i nostri piedi, per quanto alcuni si ostinino a vederla sempre uguale, è profondamente cambiata. La società, l’ecologia, l’economia, la stessa nostra vita è stata messa di fronte a un cambiamento epocale. L’inizio di una nuova Era. La costruzione di un nuovo mondo che deve leccarsi le ferite ma allo stesso tempo crescere, trovando nuove strade alle quali
adattarsi. E la moda non è esonerata da questo discorso. Anzi, a spiegarcelo in modo tangibile è stato Giorgio Armani.
Re Giorgio è quell’albero radicato con radici profonde nella terra della moda. Il fashion system rappresenta i rami che nodosi, crescono ancorati all’albero (alcuni robusti, alcuni fragili e sottili). E infine, le foglie sono le idee e la creatività di tutti coloro che lavorano attorno al mondo della moda. Le foglie ogni anno germogliano regalando all’albero maestosità e vita. Poi la stagione passa, le foglie cadono e si posano sul suolo. Si mescolano alla terra e nutrono l’albero che, in un infinito circolo vitale, ritornerà a sbocciare non appena i tempi saranno maturi.
La moda aveva da qualche tempo perso di vista questo straordinario circolo vitale. Le foglie erano sempre meno, il suolo sempre più malato, e inesorabilmente la terra infettava l’albero.
Ma l’albero Armani ha deciso di non farsi più infettare. L’albero Giorgio, ancorato da decenni alla terra della moda, ha deciso di non morire.
In piena pandemia le sue dichiarazioni sono state un sospiro di sollievo per tutti coloro che erano consapevoli che la terra della moda era troppo malata, e sono state una presa di coscienza per molti che invece non si erano resi conto di quello che è diventato il fashion system: un’accozzaglia di vecchie idee, un parto continuo di vestiti e accessori inutili che hanno distrutto la creatività di artisti, stilisti e visionari. La produzione della moda ha bulimicamente sfamato intere generazioni, sfornando miliardi di brutti vestiti che spesso non riuscivano nemmeno a trovare mercato. Una persona ha una buona idea, e in mille la seguono, copiandola in modo svilente. Un circolo vizioso che non riguarda solo il mondo della moda a dettaglio, ma parte
dalle piccole sartorie fino ad arrivare ai grandi brand di fama mondiale. Uno stilista per combattere la concorrenza deve riempire i negozi di abiti a costi ridotti scegliendo stoffe a buon prezzo (spesso inquinanti), e per abbattere i costi di tasse e produzione deve molto spesso assumere personale a nero, oppure rivolgersi ad aziende all’estero che sfruttano uomini, donne e bambini togliendo loro dignità. Per non parlare della creatività che in questo modo viene totalmente azzerata. Partendo da questa consapevolezza,Giorgio Armani, dinanzi a un cambiamento che deve obbligatoriamente riguardare anche il fashion system, ha rotto gli argini gridando il suo disappunto su quello che è accaduto nel mondo della moda negli ultimi decenni.
Denunciando l’irresponsabilità di aziende e stilisti, li ha invitati a rivedere questo straordinario comparto artistico, sociale ed economico: meno produzione, ridurre le collezioni a una produzione ecosostenibile, lavoro più dignitoso per operai e dipendenti, più creatività per gli stilisti e il comparto artistico, più concorrenza leale. Meglio spendere 100€ per un capo di abbigliamento di buona fattura ed ecologico, che spendere gli stessi soldi per dieci capi inquinanti e che sviliscono la creatività degli stilisti. Ognuno deve fare la propria parte. A partire da noi compratori. Possiamo scegliere di cambiare il mondo anche quando andiamo a fare shopping. E se compriamo Armani, a questo punto, meglio ancora.
“La costruzione di un nuovo mondo che deve leccarsi le ferite ma allo stesso tempo crescere, trovando nuove strade alle quali adattarsi. E la moda non è esonerata da questo discorso.”