Mi ha sempre fatto sorridere la reazione delle persone ogni volta che ho nominato Keith Haring. Lo sguardo perplesso per dire “di chi stai parlando?”, ma se al suo nome mostri anche una sua qualsiasi opera, il suo ineguagliabile stile, allora il volto delle persone si illumina: “Ah si si! Ora ho capito chi è!”.
Mi fa sorridere perchè, a 30 anni dalla sua morte, lo scopo di Keith Haring si può definire più che raggiunto.
Ma partiamo per gradi.
Keith Haring nasce in Pennsylvania nel 1958. Sin da bambino mostra una spiccata propensione artistica disegnando dei personaggi di fantasia che sono un misto fra un fumetto e un cartone animato. Famiglia di media borghesia, appoggiano il suo estro artistico iscrivendolo alla scuola d’arte ed è in quel momento che Keith apprende le tecniche e la conoscenza dei grandi artisti della storia, da Michelangelo a Leonardo Da Vinci, passando per Caravaggio a Botero.
Il desiderio fortissimo di vedere tutte le opere dal vivo lo persegue per anni, lui vuole poter vedere con i suoi occhi i colori delle tele più famose del mondo, capire la tecnica del colore e della pittura, ma allo stesso tempo inizia a limitare un’idea politica e sociale dell’arte che si definirà proprio attraverso lo studio degli artisti: l’opera dell’artista come concetto sociale.
Stretto nella mentalità provinciale americana a 19 anni lascia la sua città per trasferirsi nella cosmopolita New York che gli farà conoscere la fama e la popolarità, servirà come trampolino di lancio per la sua visione artistica ma alla stesso tempo gli servirà un conto salatissimo da pagare di una vita dissoluta e promiscua.
Negli anni newyorkesi Haring si sente libero di vivere la propria omosessualità che fino a quel momento aveva tenuto sotto chiave, inaccettabile nel suo paese di origine, e non solo comincia a sperimentare il sesso con gli uomini ma fa del proprio orientamento sessuale un’azione politica e sociale atta a liberare il mondo dal pregiudizio e dallo stigma dell’AIDS che in quegli anni aveva portato i gay a essere discriminati e odiati più del solito.
“La sua ultima opera pubblica, un anno prima che morisse, è del 1989 a Pisa. Dipinge la facciata della chiesa di Sant’Antonio Abbate e l’opera (una delle poche che abbia un titolo) si chiama TUTTO MONDO. E’ un’enorme raffigurazione del mondo, di quello che Haring sperava che diventasse il mondo, di amore e fratellanza.”
Incontra i più grandi esponenti della Pop Art: Andy Wharol, Jean-Michael Basquiat e Lee Quinones, ma odia l’idea che le opere d’arte restino chiuse in un museo. Così la concezione di rendere la sua visione del mondo in ogni parte visibile. Inizia a dipingere in piccoli spazi pubbicitari in metropolitana dove le persone passando potevano familiarizzare con il suo stile. Muri di edifici, auto, bottiglie di plastica, tazze e t-shirt. Dipingeva ovunque. Anche su se stesso. Da qui la sua idea democratica dell’arte.
I suoi messaggi sono sulla libertà, la pace, l’uguaglianza. Ma anche molto intimi: i suoi dolori, le paure e la passione per il sesso. E’ ossessionato dall’idea che tutti debbano conoscere la sua arte, anche chi di arte non è interessato o chi non può permettersi di andare in un museo. E in un’epoca ancora lontana dai social, così pensa di rendere fluibile le sue immagini attraverso due grandi canali vicinissimi ai giovani: MTV e gli orologi SWATCH. In men che non si dica le sue opere diventano iconiche diventanto il simbolo per eccellenza degli anni 80.
Inizia a viaggiare per il mondo. Le sue opere possono essere rintraciate in tutte le capitali europee e in Sud America. A New York, nel quartiere Soho, apre il Pop Shop. Vende i gadget con incise le sue opere più iconiche ma è anche uno spazio per i giovani artisti possono sperimentare e mettere in mostra le proprie opere d’arte.
Muore a l’età di 31 anni per complicazioni da AIDS. Consapevole di non vivere a lungo fonda la Keith Haring Foundation per sostenere artisti che mandino messaggi di pace ed uguaglianza.
La sua ultima opera pubblica, un anno prima che morisse, è del 1989 a Pisa. Dipinge la facciata della chiesa di Sant’Antonio Abbate e l’opera (una delle poche che abbia un titolo) si chiama TUTTO MONDO. E’ un’enorme raffigurazione del mondo, di quello che Haring sperava che diventasse il mondo, di amore e fratellanza.