Filippo Macchiusi “Spero di strappare una risata e magari una riflessione. Da Giallini ho imparato l’arte della disponibilità”
“Il mio primo obiettivo è far divertire le persone, spero di strappargli una risata. Poi se ci aggiungiamo una riflessione di fondo tanto meglio, ma lo spettacolo è in primis uno spettacolo divertente”. Ci descrive così il suo nuovo monologo tragicomico ‘M. Informato dei fatti’ l’attore e autore Filippo Macchiusi, che stasera e domani sera andrà in scena presso lo Spazio Diamante di Roma.
‘M. Informato dei fatti’ è una commedia drammatica che esplora il contorto e intricato mondo interiore del non meglio identificato protagonista ‘M’. Simbolo d’instabilità della sua generazione, M si smarrisce tra i meandri dei suoi ricordi per poter denunciare, a uno sbigottito e incredulo maresciallo, un efferato crimine di cui solo lui è appunto…informato del fatti. Tramite dialoghi brillanti e situazioni paradossali al limite dell’ironia, l’opera invita lo spettatore a interrogarsi su cosa sia la verità e su quanto la nostra percezione possa influenzare il nostro giudizio. Quando alla fine del suo racconto saremo anche noi ‘Informati dei fatti’, saremo veramente in grado di giudicare il colpevole?
Ne abbiamo discusso con l’autore.

Lo spettacolo è un monologo tragicomico. Perché hai scelto questo tipo di struttura?
“L’idea era quella di sviluppare la storia all’interno di una cornice giudiziaria dove M, il protagonista, va in caserma per mettere agli atti una deposizione. E il monologo era la forma più adeguata per raccontare il suo punto di vista, in cui pian piano perdersi e fare in modo che diventasse anche il nostro. Per capirci, alla ‘i soliti sospetti’. Sottolineando come le nostre opinioni, per quanto pensiamo siano oggettive, sono sempre filtrate dai nostri ricordi e dalle nostre sensazioni. E il monologo era perfetto per rimarcarlo: le storie non sono mai fino in fondo come le raccontiamo”.
Nel corso della narrazione entriamo sempre più nella mente del protagonista, personaggio instabile tipico della sua generazione. L’opera si preannuncia come una denuncia sociale?
“Questo monologo l’ho scritto tre anni fa, e non so se allora fossi consapevole di questo intento. Ma ragionando a posteriori, effettivamente questo periodo storico è scandito da una mancanza di punti di riferimento. Ora che porto in scena lo spettacolo il tema forse è anche più attuale, io di punti di riferimento ne vedo sempre meno: tutto è entrato in crisi e dobbiamo trovare una strategia per uscirne. Nel racconto, M. una sua strategia -anche se estrema- la trova. E non so come lo spettatore possa reagire una volta che si è fatto un viaggio nella sua testa”.
M. però, nel fare la sua deposizione, cerca a tutti i costi di impedire allo spettatore di arrivare a una verità oggettiva dei fatti. Cosa è per te la verità, ne esiste davvero una?
“È una domanda difficile. Oggi l’uomo più potente del mondo, il presidente degli Stati Uniti d’America, sostiene che esistono tante verità quante ne vengono raccontate. È la logica del filtro, noi pensiamo di comunicare qualcosa ma inevitabilmente agli altri arriva qualcos’altro. Viviamo immersi nelle fake news. Non so dire però se questa verità oggettiva sia poi così importante; quello che a mio avviso dovremmo fare è imparare più a immedesimarci negli altri per capire qual è la loro di verità. Anche M. si confronta con un sistema, quello giudiziario, che ragiona troppo per assoluti. C’è chi è colpevole e chi non lo è. Ma sono ruoli molto netti e quando M. col suo racconto mette in crisi questo paradigma ci rendiamo contro che non è così scontato capire cosa abbiamo davanti. Se veramente, cioè, quello che denuncia di aver fatto è giusto o sbagliato”.

La storia è ammantata da un velo di mistero che lo spettatore toglie assieme al protagonista. Lo stesso spettatore ha un ruolo attivo nel mettere in ordine i pezzi del puzzle, diventando infine anche lui ‘informato dei fatti’. Cosa gli porterà questa nuova consapevolezza?
“Lo decida lui stesso, lo spettatore. Chiaramente quello di M. è un gioco, lui sa benissimo a cosa e perché sta giocando. Comprende benissimo di trovarsi davanti a due agenti, il maresciallo e l’appuntato, che si aspettano che lui denunci un crimine. Ma lui al punto non ci vuole arrivare. Lo accarezza, ci si avvicina e lo fa pregustare senza però mai soffermarcisi, sa benissimo come tenere viva l’attenzione. Parla di un mafioso di cui è amico e poi di un pedinamento, facendogli credere di essere arrivato alla fine. Ma poi vira all’ultimo e fa capire di cosa sta realmente parlando. Penso che in fondo questo possa far riflettere il pubblico sul significato del concetto di colpa e colpevole. M. è li col pretesto di confessare un crimine da lui commesso, ma una volta che abbiamo conosciuto a fondo la sua storia, possiamo veramente ergerci a suoi giudici? Al posto suo avremmo fatto diversamente? È interessante interrogarsi su questo tema, anche come società”.
Nonostante la storia sia basata su un evento drammatico, il surreale intercedere di M. rende tutto molto ironico. Quanto è importante usare l’ironia per raccontare storie drammatiche?
“Penso sia fondamentale. Io sono un grande estimatore di Mattia Torre, che è stato un mago nel raccontare con ironia temi molto drammatici. Ridere permette di esorcizzare anche le cose più gravi, e l’ironia ci permette di vedere le cose dai punti di vista meno scontati aiutando anche a veicolare il messaggio che si vuole mandare in maniera trasversale. Per me ironia e paradosso sono le due forme più alte di comicità”
Parliamo di te. Sei diventato attore dopo un percorso che preannunciava tutt’altro, infatti hai studiato per diventare medico. Come mai questo cambio di rotta?
“È vero io sono un medico, ho anche lavorato per un anno appena finito gli studi. In entrambi gli ambienti è importantissimo gestire il rapporto con le proprie emozioni. Essere un autore e un attore vuol dire avere costantemente un’opinione; essere un medico vuol dire trovare un equilibrio con le proprie emozioni per non rimanerne affogati, ma l’attore viceversa le emozioni le sfrutta appieno. Io mi sento medico, è parte di me e anche in questa opera me lo porto dietro. Però è tutto declinato all’essere quello che voglio essere: un attore e un autore”.
Nonostante la tua giovane carriera, hai avuto la possibilità di lavorare con personaggi molto noti del mondo dello spettacolo, tra tutti Marco Giallini. Come ti ha influenzato questo incontro?
“ E’ una persona con un cuore immenso, da lui ho imparato l’importanza dell’arte della disponibilità in un attore. Io avevo una piccola parte in una serie televisiva a cui lavorava, e non ha mai perso occasione per venire da noi giovani attori a darci consigli e a motivarci. Il suo comportamento mi ha insegnato che i più grandi sono le persone più umili. Spero un giorno di ricambiare perché nel mio lavoro più si dà più si riceve. E lui dà così tanto perché ama veramente quello che fa, e vederlo da vicino porsi in questo modo è qualcosa che mi porterò per sempre”.
Cosa speri che lo spettatore si porti via alla fine del tuo spettacolo?
“ Prima di tutto qualche risata. Poi magari anche la spinta per una riflessione su cosa sia la verità e su cosa significhi essere colpevoli di qualcosa. Spero di indurre le persone a immedesimarsi negli altri prima di giudicare, perché la realtà non è mai così semplice come ci può sembrare”.