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Il Made in Italy è strategia, non nostalgia

 

Il Made in Italy è strategia, non nostalgia

In occasione della Giornata del Made in Italy, il prof. Pietro Paganini ci offre una riflessione profonda e articolata sul valore strategico del nostro patrimonio agroalimentare e sulle sfide che il sistema Paese è chiamato ad affrontare. Le sue parole ci guidano in un’analisi lucida che va oltre la celebrazione, per indicare la necessità di una visione evolutiva e coraggiosa del Made in Italy.

Oggi la filiera agroalimentare genera quasi 335 miliardi di valore aggiunto, pari al 19% del PIL italiano, con un fatturato che ha raggiunto i 586,9 miliardi di euro: +8,4% rispetto al 2021 e +29% sul 2015. In un contesto segnato da crisi sanitarie e tensioni internazionali, è stata proprio la qualità del Made in Italy agroalimentare a trainare la crescita.

Vogliamo celebrare questa giornata pubblicando tre brevi testi che raccontano il cuore del Made in Italy alimentare: la Dieta Mediterranea, che non è un semplice insieme di piatti o ricette ma uno stile di vita fondato sull’equilibrio; il metodo dell’equilibrio come approccio culturale alla nutrizione e alla qualità della vita; e il ruolo del saper fare italiano, fatto di tradizione, creatività e capacità di rispondere con prodotti originali e competitivi alla domanda globale.

Siamo abituati a celebrare il Made in Italy, ma oggi più che mai serve una visione. Non possiamo limitarci a difenderlo, dobbiamo rilanciarlo. Non bastano le tre “F” – Fashion, Food, Furniture – servono nuove coordinate. Il Made in Italy è anche la terra e i suoi frutti, la componentistica industriale, le piccole e medie imprese che ancora resistono all’inefficienza dello Stato e all’invasività burocratica, e che continuano a innovare. È un sistema fatto di persone che unisce curiosità, creatività, imprenditorialità, ma anche qualità e identità. Per restare competitivo, però, deve evolvere.

Il Made in Italy vale di più solo se riusciamo a posizionarlo come tale. Serve una protezione efficace della proprietà intellettuale, industriale e dei marchi, per contrastare pratiche come l’Italian sounding che danneggiano la reputazione e il valore delle nostre produzioni. È urgente investire nell’educazione alla qualità e all’equilibrio, formando una nuova generazione di imprenditori e professionisti capaci di risolvere problemi complessi in modo originale. Servono più “Maverick”, meno “Yes Men”, e una solida cultura manageriale e finanziaria. Anche gli investitori stranieri possono contribuire alla crescita del Made in Italy, ma la mente e le mani devono restare italiane, così da garantire radici e identità anche in uno scenario globale.

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La tecnologia non snatura il Made in Italy, lo fa evolvere. Deve entrare nei processi produttivi e creativi, aumentandone efficienza e competitività. E soprattutto, è fondamentale che lo Stato non pretenda di governare il Made in Italy: deve piuttosto creare le condizioni per cui gli italiani possano continuare a fare gli italiani, con poche regole chiare, investimenti mirati e coraggio nell’innovazione.

L’imposizione di dazi sui prodotti italiani di qualità, spesso inseriti in nicchie di mercato e associati alla Dieta Mediterranea, rappresenta certamente una minaccia economica, ma può anche diventare un’opportunità strategica. Sebbene questi beni siano generalmente soggetti a una domanda meno elastica, grazie al loro valore percepito e alla forte identità culturale, l’elasticità varia in funzione della sostituibilità percepita e del posizionamento del prodotto. Per questo, oltre a chiedere la rimozione dei dazi, l’Italia dovrebbe cogliere l’occasione per rafforzare il posizionamento dei propri prodotti, investendo in branding, storytelling e legame con uno stile di vita sano e desiderabile. Trasformare l’aumento di prezzo imposto dai dazi in un elemento distintivo di qualità e autenticità può consolidare l’anelasticità della domanda, tutelando il valore delle esportazioni italiane e promuovendo la diffusione globale della Dieta Mediterranea come simbolo di benessere e identità.

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