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Milano Design Week 2025: I TOP e I FLOP – Un bilancio curioso e diretto

 

Milano Design Week 2025: I TOP e I FLOP – Un bilancio curioso e diretto

La Milano Design Week 2025 si è conclusa e, con il clamore ormai in dissolvenza, è tempo di fare il punto della situazione. Ecco, in sintesi, cosa ci ha fatto battere il cuore e cosa ha lasciato perplessi in questa edizione, che dimostra ancora una volta quanto il design di Milano sia vivo, vibrante e – a tratti – esorbitante.

TOP: Luoghi, performance e narrazioni d’eccellenza

  • Il fascino ritrovato dei luoghi storici:
    Le proposte che hanno saputo accostare architetture del passato e design contemporaneo si sono rivelate il fiore all’occhiello dell’evento. Da Dedar, che ha valorizzato le opere di Anni Albers nella Torre Velasca, alle lampade di Michael Anastassiades e agli arredi rieditati di Vico Magistretti, abbiamo ritrovato un legame sincero con la Milano degli Anni Cinquanta, rivisitata in chiave moderna.
  • Staging Modernity di Cassina:
    Immersa in un’installazione immersiva al Teatro Lirico Giorgio Gaber, la performance dedicata al 60° anniversario della Collezione Le Corbusier ha proposto una reinterpretazione audace della modernità, sfidando la tradizionale visione industriale a favore di una concezione più fluida e naturale.
  • Romantic Brutalism e le collettive ben curate:
    Le iniziative come la mostra di Federica Sala, che ha celebrato il centenario della partecipazione della Polonia all’Exposition Moderne, hanno offerto un’esperienza culturale densa di spessore e riflessioni critiche, dimostrando che il design può essere portatore di storie e memoria.
  • Il percorso fuori dal centro: Labò:
    Spinto fuori dalla zona di comfort delle aree centrali, Labò ha offerto un mix intrigante di design da collezione, biodesign e progetti a sfondo sociale in un contesto “anti-clic” che ha premiato la lentezza e la scoperta spontanea, regalando serendipità a chi ha osato uscire dalla folla.
  • Il Salone come produttore culturale:
    Grazie a un programma di talk solido e coinvolgente, il Fuorisalone ha saputo trasformarsi in un vero e proprio laboratorio di idee. Con interventi da Bob Wilson, Paolo Sorrentino ed Es Devlin, è chiaro come Milano stia ridefinendo il ruolo delle fiere, puntando su cultura e narrazione oltre che su esposizioni commerciali.

FLOP: Tra caos organizzativo e impostazioni fuori luogo

  • Code infinite e gadget invendibili:
    L’eccessivo affidamento a registrazioni e metodi “metrici” ha trasformato alcune location in corridoi da fila. Tra selfie compulsivi e gadget ironicamente sfregiati – come lo sgabellino pieghevole di Etro – è emerso un lato paradossale: troppo marketing a discapito dell’esperienza autentica.
  • L’effetto “Fashion Week” fuori stagione:
    I grandi brand, a volte troppo prepotenti nei loro eventi extra Fuorisalone, hanno polarizzato l’attenzione, generando bolle speculative e narrazioni che sembrano più una processione laica che una vera esperienza di design. Alcune proposte, pur di valore, hanno soffocato il tessuto narrativo con eccessi mediatici.
  • Tanti impegni, poco impegno: il discorso dei temi attuali:
    In una fase in cui le emergenze sociali, climatiche e politiche richiedono attenzione, molte realtà del sistema design si sono limitate a superficiali “pietre di inciampo”. C’è chi ha affrontato con coraggio il tema della guerra, chi ha presentato il lavoro sugli arredi carcerari, ma parecchi interventi hanno mancato di un impegno concreto, lasciando il pubblico con più domande che risposte.
  • Il declino di Zona Tortona:
    Un tempo cuore pulsante di attivazioni spontanee, Zona Tortona quest’anno ha mostrato segni di affievolimento. L’assenza di una regia unitaria e il disallineamento tra le iniziative hanno fatto scemare il fermento che negli anni ha contraddistinto il quartiere, evidenziando il bisogno di una riorganizzazione strutturale.

Milano Design Week 2025 ha saputo regalare momenti “wow” a chi sa apprezzare il connubio tra tradizione e innovazione, ma ha anche evidenziato criticità nell’organizzazione e nella fruibilità degli spazi. In definitiva, un evento che resta sempre teatro di grandi emozioni e profonde riflessioni – in attesa di essere ripensato per garantire un’esperienza sempre più inclusiva e qualitativamente indimenticabile.

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